Il Numismatico e Antichista Gabriele Lancillotto Castelli

GABRIELE LANCILLOTTO CASTELLI: UN “PRINCIPE DELLE LETTERE”NELLA SICILIA ILLUMINISTA (1727–1792)

Gabriele Lancillotto Castelli, principe di Torremuzza (Palermo, 21 gennaio 1727 – ivi, 27 febbraio 1792) è una figura di studioso del Settecento, appartenente ad una nobile famiglia siciliana della zona di Tusa, antica Halaesa, proprietaria di un vasto feudo compreso tra la zona di Santo Stefano di Camastra e le propaggini di Cefalù. La conoscenza e lo studio delle antichità erano tratti connotanti il suo status symbol di uomo appartenente ad una nobile famiglia siciliana. Ma allo studio dei reperti antichi si accostò casualmente. In alcune lettere Torremuzza stesso dichiara di volere intraprendere gli studi di chimica, molto vicini in quel tempo agli interessi di alchimia e alla pratica del mesmerismo.

Gabriele Lancillotto Castelli

Allo studio delle Antichità Classiche fu indotto dal rinvenimento casuale – da parte di un colono – di un vaso pieno di monete di rame, nel feudo di proprietà della famiglia. Quasi folgorato da tale rinvenimento, il Torremuzza iniziò a dedicarsi a tempo pieno alla ricognizione, raccolta, studio e classificazione degli oggetti antichi: monete, epigrafi, sculture. La fortuna di essere il proprietario del territorio ricadente nell’antica Halaesa Archonidea gli consentì di recuperare epigrafi e monete per studiarne la storia; ma Torremuzza estese i propri interessi alla numismatica di tutta la Sicilia. Riuscì così a costituire una ricca collezione di monete e di epigrafi e divenne un punto di riferimento per i collezionisti-amanti delle Belle Arti della Sicilia. Nel 1778 venne nominato Conservatore delle evidenze artistiche e archeologiche della Sicilia, assieme al catanese Ignazio Paternò Castello, altra insigne figura di antichista. Intanto era entrato in contatto con gli esponenti dell’Illuminismo lombardo, in particolare Ludovico Antonio Muratori, con cui condivise l’utopia, tipicamente settecentesca, della Repubblica delle Lettere. Le poche epistole indirizzate al Muratori mettono in luce l’atteggiamento ossequioso dell’antiquario siciliano Torremuzza verso il grande storico illuminista modenese, pur nella convinzione che la Sicilia avesse ricoperto un ruolo centrale nell’antichità, grazie alle numerose dominazioni succedutesi, e ritenendo che i letterati-filosofi siciliani non fossero da meno degli Illuministi lombardi, veneti o napoletani. Dopo la regia nomina a Conservatore egli prosegue l’attività di tutela del patrimonio culturale dell’isola, contribuendovi significativamente anche con la propria produzione editoriale. Due sono gli obiettivi che animano lo studioso: acquisire un metodo classificatorio sicuro e valido, tale da rendere attendibile l’identificazione dell’oggetto antico, e mettere in atto un’opera enciclopedica che raccolga i beni archeologici, artistici, epigrafici e numismatici della Sicilia.

G. L. Castelli, Siciliae Veteres nummi …, Palermo 1781, tab. VII: monetazione di
Messana.

Torremuzza disegna scrupolosamente le monete della sua collezione, le confronta, dà pareri a studiosi anche stranieri. Egli “corregge” gli errori dei suoi colleghi collezionisti, ma sempre con garbo, cosicché anche altri, come ad esempio il taorminese Ignazio Cartella possano rivolgersi a lui per avere lumi su monete di Catana e di Naxos antica, o al contrario offrano serenamente al Torremuzza suggerimenti circa un termine controverso. Diverse epistole di argomento archeologico ed antiquario dimostrano la grande considerazione che studiosi ed intellettuali del suo tempo avevano nei suoi confronti. Muovendo dallo studio della nobilissima polis/civitas di Halaesa Archonidea, condotto attraverso le monete, il nostro antiquario ricostruisce la storia di tutta la Sicilia e dei Popoli che l’hanno dominata, anche se gli fa difetto la percezione storica della fase greca dell’isola. Infatti Torremuzza ritiene le poleis siciliane delle enclavi culturali separate, e usa il termine “popolazioni” per indicare le città che avevano battuto la moneta. Se è vero che l’akribìa numismatica di Torremuzza sembra far difetto per il fatto di avere tralasciato l’aspetto pondometrico della disciplina, omettendo di pesare gli esemplari monetali acquisiti, è altresì vero che il principio su cui si basa il suo sistema di classificazione è quello della restituzione formale dell’oggetto attraverso il disegno, e del suo conseguente inquadramento in categorie e sottocategorie, definibili sulla base del controllo autoptico (forma, dimensioni, presenza e assenza di colore). Molto spesso Torremuzza si spinge subito verso la causa determinante la realizzazione del pezzo, a partire dalla città in cui è stata battuta la moneta. Raramente egli usa il termine fabbrica, officina o zecca, rivelando di non essere ancora in possesso di una terminologia numismatica specifica. La ricerca storica, delle cause e degli effetti, è la vera costante del suo metodo di lavoro, ma non approfondisce l’identità dei soggetti monetali rappresentati (personaggi del mito o storici, dei, eroi, ecisti). Altro aspetto non adeguatamente attenzionato è il rapporto tra il Diritto e il Rovescio della moneta. Egli, invece, fa molta attenzione alla componente epigrafica, di cui ipotizza, a seconda dei casi, la natura di toponimi o – nel caso di monete romane – di nomi di personaggi e di cariche magistratuali. Quale figlio del suo tempo ha una concezione enciclopedica del sapere, classificato e suddiviso in varie categorie, ma nella sostanza considerato unitario. Egli classifica ben otto classi di sapere afferenti alle Antichità, con altrettante sotto-categorie, ma il progetto di una grande enciclopedia della scienza antiquaria resta per lui un’utopia, data la vastità della sua portata. Riesce, invece, a coronare il suo sogno di una vasta opera relativa alla storia delle popolazioni che si sono succedute in Sicilia, il cui trait d’union è costituito dalla moneta, pubblicando la celebre opera Siciliae populorum et urbium regum quoque et tyrannorum veteres nummi Saracenorum epocham antecedentes (Palermo, 1781, con successivi aggiornamenti nel 1789 e nel 1791). L’eco della sua collezione monetale e dell’opera che la descrive giunge fino a Goethe che, durante il suo viaggio in Sicilia, si reca a visitare di persona la collezione di Torremuzza. E’ il momento della consacrazione ufficiale dello studioso a letterato di fama europea, vero principe delle Lettere, i cui interessi, quale membro di quella Repubblica ideale dei letterati, lo rendevano punto di riferimento degli altri colleghi aventi a cuore il patrimonio paesaggistico e monumentale della Sicilia. Il già citato Ignazio Cartella, venuto a conoscenza del progetto di scavare la montagna di San Leo, presso il Capo Taormina, per creare l’asse viario Catania-Palermo, e allarmato che ciò possa avere ripercussioni negative sul sito del teatro di Taormina, interpella tempestivamente il Torremuzza, nelle vesti di Conservatore alle Antichità siciliane, perché intervenga ad impedire che vengano intrapresi i lavori di traforo. Grazie al suo impegno culturale, Torremuzza aveva consentito che anche la Sicilia dei collezionisti siciliani entrasse a far parte del circuito culturale del Settecento italiano, assieme alle più note città di Milano e di Napoli. Inoltre, dal 1784 era divenuto socio dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, e due anni prima di morire era entrato a par parte della Society of Antiquaries of London. Ben noto per le sue conoscenze in ambito numismatico aveva anche svolto la funzione di Direttore della Zecca di Palermo

Di Katia Longo Tratto da “INTERNATIONAL NUMISMATIC COUNCIL 2014”

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