Trabia e le origini degli spaghetti

Nell’ottobre del 2002 una delegazione ufficiale del Comune di Trabia partecipava al “Pasta Show” che si svolgeva a Napoli. In quella circostanza l’amministrazione comunale aveva fato delle stampe un piccolo opuscolo, che, sulla copertina, riportava questa intestazione :

Trabia…il paese dove sono nati gli spaghetti.

In realtà a rivendicare per la prima volta questa “paternità” era stato un apprezzato cultore di tradizioni locali , Piero Zizzo, che già in una sua pubblicazione dedicata alle vicende storiche di Trabia, apparse nel 1982, segnalava l’ormai celebre brano del geografo arabo Al Idrisi, relativo alla produzione a Trabia degli “Itriya”. Da allora in tutti i principali siti internet che trattano della storia della pasta e perfino in qualificate pubblicazioni scientifiche di alimentazione e gastronomia, Trabia viene immancabilmente ricordata come il luogo , o almeno uno dei luoghi , più antichi nei quali venivano prodotti i diretti antenati dei nostri attuali “Spaghetti”.

Come ormai da tempo è stato compreso, dietro ogni prodotto gastronomico, dietro ogni piatto, dietro ogni sapore, si percepisce, come ha scritto qualcuno, un “forte retrogusto storico”. Pertanto è sempre opportuno ricordare che vale la pena di studiare queste storie, conservare e valorizzare questi prodotti, questi piatti, questi sapori, come altrettanti “Beni Culturali”.

I più autorevoli storici dell’alimentazione che si sono occupati di indagare sulle origini della pasta, sono concordi nell’attribuire agli Arabi, attraverso i due canali privilegiati della Spagna e della Sicilia, l’introduzione in Europa di questo nuovo prodotto. Le prima testimonianze in tal senso risalgono all’XI – XII secolo , se non addirittura ancor prima, ed è proprio nella Sicilia di tradizione Araba che incontriamo le prime industrie di pasta secca destinate all’esportazione. Nel <Libro di Ruggero>, opera geografica dell’autore arabo Al Idrisi, composta nel 1153, possiamo leggere questa interessante descrizione :

< A ponente di Termini vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei quali si fabbricano “itrìya” (vermicelli, spaghetti) in quantità tale da approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi >.

È certo, dunque, che ne territorio destinato ad ospitare la futura fondazione feudale della famiglia Lanza, prosperava l’industria della pasta e in particolare modo , di quel tipo espressamente menzionato da Al Idrisi : gli < itrìya >. Con la semola di grano duro (Triticum durum) ,com’è noto, i musulmani insediatosi in Spagna in epoca medievale , elaboravano, oltre al tradizionale “cuscus” , anche alcuni tipi di pasta secca come i “fidaus” e gli “itrìya”. Per preparare questi ultimi, conosciuti nell’oriente islamico con il termine <rishta>, si stendeva la pasta a sfoglia e la si ritagliava poi in nastri sottili, modellandola quindi con le mani per ottenere un lungo cordoncino. Questa era , infatti, il significato della parola <rishta> (cordoncini), che ricordano esattamente i nostri spaghetti.

Non stupisce che proprio Trabia si sviluppò, già nel periodo arabo e poi in quello normanno, una fiorente industria pastaia, perché qui erano presenti tutte quelle condizioni necessarie per un tale sviluppo. Innanzitutto la celebrata abbondanza delle sue acqua, che come fu scritto da un autore del XVI secolo, Antonio Filoteo da Castiglione,

zampillano freschessime, limpidissime e chiarissime”

Dalle rupi del Monte Camercia, e venivano anticamente chiamate acque della “Tirreria” In secondo luogo la presenza di numerosi mulini, alimentati proprio da quelle stesse acque, che operarono nel corso dei secoli fino ai primi anni del Novecento. Infine la prossimità alla costa tirrenica, dove la pasta, come ci testimonia Al Idrisi, poteva essere caricata direttamente sulle imbarcazioni che la trasportavano verso i più lontani porti di destinazione.

Attraverso le fonti storiche e la documentazione archivistica, possiamo ricostruire, anche se in maniera lacunosa, le successive concessioni che interesseranno gli ambiti mulini di Trabia. Da un documento risalente alla prima metà del Trecento, apprendiamo che Federico III d’Aragona concede il territorio e i mulini di Trabia, di proprietà della Regia Curia, a un certo Bertino Cipolla. Qualche tempo dopo , nel 1375, tale concessione passa a Lombardo Lo Campo (o De Campo), suscitando il risentimento dei Termitani, che volevano invece assegnare tale privilegio, come poi faranno, al loro cittadino Antonio Salamone. Nel 1408, terre, castello, mulini e tonnara di Trabia appartegono a Guglielmo Tricotta e, alla morte di questi, al fratello Bernardo che, senza eredi , dispone che questi mulini vengono donati al convento di Santa Maria del Monte Carmelo di Palermo. Attraverso una permuta con detto Convento, terre, castello, tonnara e mulini, vengono acquisiti da Leonardo Di Bartolomeo, celebre giurista e Protonotaro del Regno. Tale atto di permuta veniva successivamente e definitivamente confermato attraverso una esecutiva vice-regia del 1445.

Con l’arrivo del Di Bartolomeo, per il territorio di Trabia si apre una fase nuova, che vede fiorire la coltivazione intensiva della canna da zucchero (la cannamela) ed il potenziamento della pesca del tonno, mentre ferve l’attività dei suoi numerosi mulini. Ma con lui si avvia anche una lunga e tormentata contesa giuridica con la città di Termini Imerese , che rivendica i propri diritti sulle terre di Trabia e sulle sue pertinenze. Infatti con un atto del notaio termitano Antonio Bonafede, redatto il 31 dicembre del 1444, i Giurati di Termini avevano concesso in enfiteusi al Di Bartolomeo <Territorium sive terre vocate di la Tarbia>. Tale concessione però, come faceva notare anche il De Barberis nel “Liber de Secretis”, era da ritenersi illegittima, poiché i beni dati in enfiteusi appartenevano al demanio regio. Nonostante ciò, data l’influenza del di Bartolomeo, la questione di legittimità non intaccherò ne pregiudicherà il diritto di proprietà degli eredi, il feudo infatti passa dal Bartolomeo al figlio Narduccio. Nel 1498, l’unica figlia di quest’ultimo, Aloisia, andrà sposa a Blasco Lanza, rinomato giurista, giudice della Regia Gran Corte e ambizioso fondatore delle fortune di Casa Lanza. Blasco ottiene, nel 1509, l’erezione in feudo nobile della terra di Trabia.

cum turri, cum fundaco, molendinis, tonaria et cannamellorum trappeto”

Questo privilegio è particolarmente importante perché, come segnalava il Mavaro, <non soltanto(…) il feudo assurge a baronato, ma soprattutto perché costituisce una vera e propria “Licentia populandi”. Infatti, continua sempre lo stesso autore, <il territorio (…) s’era già arricchito della cultura delle cannamele e di un trappeto per la cui efficienza produttiva ed economicità di gestione sarebbe stata, fin d’allora, necessaria una manodopera sul posto>. E se i mulini e il pastificio potevano anche vivere a conduzione familiare, la tonnara richiedeva , almeno per quattro mesi consecutivi (aprile-luglio), personale sia specializzato che generico di una certa consistenza numerica, ed ancor più numeroso e continuativo era quello coinvolto nel processo produttivo del cannamelito. Ma gli avvenimenti successivi, soprattutto le conseguenze dell’atteggiamento di Blasco Lanza in difesa del Vicerè Moncada, durante la rivolta di Palermo del 1517, determinarono le condizioni favorevoli all’esplodere dei mai sopiti rancori dei Termitani nei confronti degl’indesiderati vicini. Così , mentre a Palermo il popolo infuriato saccheggia il palazzo Blasco, Trabia viene presa d’assalto dai Termitani, che armati di

“spade, lanze, balestre, scopetti et altri generi d’armi ad modum guerre, (…) si partino…alla volta di la Trabia sonando un tamburinu, et giungendu alla Trabia dirruparu unu bagliu suttanu di lu trappitu et poy alla banda suttana sfurzaru una porta con certo muro ed intraro tutti intro lo baglio unde lo capo disse: Eu voglio che tutt’homu vola, che s’arda la Trabia”.

A tutto questo furore distruttivo si aggiunse anche la revoca della concessione con la quale Trabia era stata eletta in baronia (17 febbraio 1522), e veniva ordinato che il suo territorio fosse riportato nello stato in cui si trovava prima dell’infeudazione. A Blasco Lanza, morto nel 1535, successe il figlio Cesare, che fu investito dal feudo e del Castello il 28 marzo 1536. Cesare Lanza è passato tristemente alla storia ed alla leggenda per la drammatica vicenda dell’assassinio della figlia Laura, la celebrata “Baronessa di Carini”. Il suo successore, il figlio Ottavio, riuscì ad ottenere il titolo di Principe di Trabia, concessogli con privilegio del 22 luglio 1601, ed il nipote, Ottavio II, riuscirà finalmente ad avere la < licentia popolandi con mero e misto imperio> ,chiudendo così la secolare controversia con la città di Termini. È il 19 gennaio 1635, data ufficiale della fondazione di Trabia.

Dopo questa necessaria sintesi storica sulle vicende che portarono alla urbanizzazione di Trabia, torniamo al nostro tema principale, cioè la produzione di pasta. Come è stato detto precedentemente, le copiose acque che scaturiscono nel territorio erano debitamente incanalate per muovere i diversi mulini dei quali le fonti documentarie ci conservano persino i nomi. Come ha rilevato il prof. Giacomo Dentici, in uno dei più autorevoli studi sulla nascita di Trabia, i mulini, in Sicilia, venivano solitamente distinti in “Supranu”, “Suttanu” e “di mezzu”, in base ovviamente alla loro localizzazione.

Dal <Liber de Secretis>, di Luca De Berberis (1506), apprendiamo che a Trabia, nei primi del 1500, vi era un mulino “Chiamato di la Porta”, che re Alfonso aveva concesso a Leonardo Di Bartolomeo, e ai suoi eredi “in perpetum”, con un atto datato 11 settembre 1441. Sempre a Trabia, un altro dei mulini esistenti era denominato “della Torre” e altri forse il più antichi , “Soprano”e”Sottano”

Ciò che resta di quest’ultimo mulino, si trova attualmente all’interno di un edificio adibito ad……autolavaggio. La denominazione di “Piazza Mulini” ci conserva la precisa testimonianza del luogo dove sorgevano questi antichi opifici. Altri mulini erano stati un tempo costruiti sulla scogliera, ad oriente del castello, e i loro ruderi sono ancora visibili in una vecchia cartolina del 1942

Dalle notizie ricavabili da una relazione, redatta nel 1881 dall’Ing. M. Capitò, veniamo a sapere che in tali anni erano ancora attivi e funzionanti ben quattro mulini da grano. Purtroppo assai povera di fonti e la nostra documentazione sulla continuità produttiva e sulle vicende dei nostri pastifici. Nei primi decenni del Novecento, l’allora sindaco di Trabia, Achille Bova, autore, tra l’altro, di un breve scritto sulla storia del paese attesta che

“macchine di pasterie e generi alimentari ve ne sono diverse, ma quella che godono il maggiore plauso, si appartengono al vivente Salvatore Sunseri che ha costruito degli stabilimenti che occorre visitarli per vedere l’importanza del commercio, che esercita coi suoi figli che trovasi nelle lontane Americhe”

Altrettanto importante sarà, in tempi più recenti, la produzione pastaria della famiglia Messineo, che aveva i suoi stabilimenti lungo l’attuale via Mons.Di Matteo, dove sorge il nuovo edificio comunale. La sua attività cesserà verso la fine degli anni ‘60 Mentre, dai ricordi personali di alcuni abitanti di Trabia, sembra che un altro piccolo pastificio, appartenente alla famiglia Arrigo, sorgesse in via Roma, nelle attuali case Gattuccio.

Da un opuscolo edito dall’associazione Trabia e le Vie dei Lanza…

Ricerca a cura di Roberto Incardona con la collaborazione di Diego Gattuccio

3 risposte a “Trabia e le origini degli spaghetti”

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