Tabia e Blasco Lanza

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L’ipotesi affascinante  che a Trabia esistesse già un casale o rocca è confortata da Michele Amari che nella sua storia dei “musulmani in Sicilia”, scrive  “dopo la caduta di Lampedusa avvenuta nel 554 i Bizantini prendono il provvedimento in Sicilia di rizzare un castello sopra ogni rocca atta alla difesa”.

Certo non vogliamo dire che per forza fecero una rocca a Trabia  ma la testimonianza indiretta del cronista arabo, An Nuwari, nel 747quasi 100 anni prima dell’avvento degli Arabi in Sicilia scrive “il Paese (la Sicilia) fu ristorata da ogni parte dai Ru’m (bizantini) i quali vi edificarono fortilizzi e castelli”.

Ora l’ipotesi che i Bizantini edificarono un avamposto fortificato a ponente di termini come difesa non è del tutto remota. Anche se la prima traccia storica dell’esistenza di un casale fortificato si ha nel 827, quando gli Arabi, prima di assediare termini si attestarono sulle spiagge di Trabia e occuparono il Casale. Questo lo si evince da un documento arabo dell’Emiro Aadelkum el chbir  inviato al comandante che riuscì nell’impresa di conquistare termini,e scrive  “lodo molto il tuo pensamento per cui stai facendo un castello a tarbiaa per custodire quella cala…la mia grande persona ti dice, che quando finirai detti ristora menti delle mura, e sarà terminata la fortificazione di tarbiaa,devi seguitare iltuo viaggio…. Aadelkum el chbir,per lo Dio Grazia,il tuo Signore”

Il primo Lanza a possedere il feudo di Trabia è Blasco Lanza (Catania 1466 – Palermo 1535), Blasco ottenne il territorio di Trabia,(originariamente cominciava dalla sponda di ponente del fiume San Leonardo, quindi comprendeva anche tutta la contrada Bragone),grazie al matrimonio con la figlia di Leonarduccio di Bartolomeo, Figlio di Leonardo di Bartolomeo, protonotaro e presidente del Regno di Sicilia, esso ottiene il territorio di Trabia alla morte di Aloisa che aveva preso in sposa,

Il Lanza, figura politica particolarmente abile, perorò la causa alla corte di Ferdinando il Cattolico per permettere che i territori di Trabia fossero elevati a Feudo. Avendo ottenuto tale permesso, Blasco Lanza non esitò ad inserire nel feudo i territori della moglie. I termitani non restarono indifferenti di fronte al gesto del Lanza e inviarono al Re un loro rappresentante, per rivolgergli la loro ufficiale protesta e chiedere giustizia. Re Ferdinando, su pressione dei termitani, con una disposizione, datata 1513 in Valladolid avviò un’istruttoria sulle cui conclusioni avrebbe dovuto formulare un giudizio definitivo. Purtroppo tali conclusioni però non pervennero mai nelle mani del re.

Morto Ferdinando il Cattolico, salì al trono re Carlo V che, in conseguenza ad un nuovo reclamo dei termitani, venne in possesso dell’incartamento il 22 febbraio 1522 con il quale emise una sentenza grazie alla quale Termini Imerese poté riacquistare Parte del suo territorio.

In seguito, a perenne ricordo dell’avvenimento, i cittadini termitani costruirono, al confine con il territorio di Trabia, una chiesetta usando calce e pietre di forma piatta ricavate del fiume adiacente.

Blasco, fu ben considerato da Ferdinando II d’Aragona, prima, e da Carlo V, poi, ottenendo i prestigiosi incarichi di giudice della Real Gran Corte, vicario generale del Regno e regio consigliere. Pur ricevendo altrettante importanti cariche, come quella di Vicario generale del Regno, Maestro Portulano e cinque volte Pretore di Palermo

Come scrisse il Moncada stesso da Messina il 22 marzo 1516 al reggente spagnolo fu il Lanza. che portò all’inquisitore Cervera la richiesta perentoria dei nobili in rivolta di liberare i prigionieri detenuti nelle carceri del S.Uffizio e abbandonare subito l’isola. La mediazione di Blasco. era uno stratagemma puramente dilatorio, come compresero i rivoltosi quando ritornò dall’inquisitore con la risposta, che presentassero la richiesta per iscritto. I rivoltosi replicarono infatti che avrebbero presentato invece “puntas de lanzas y espadas”  (Punte di lance e spade) dando inizio apertamente alla ribellione. Fu convocato il Consiglio generale del Comune di Palermo e il Lanza. ebbe l’imprudenza di presentarvisi, senza considerare che la sua qualità di cittadino catanese non gli dava la facoltà. Ne fu infatti scacciato a furor di popolo e inseguito al grido di “fuori dalla città”. Si rifugiò nel palazzo Chiaramonte, detto lo Steri, residenza in quel momento del viceré, e vi fu assediato dalla folla in tumulto che reclamava la sua immediata espulsione da Palermo. Ma nonostante lo stesso Moncada  dai balconi dello Steri prometteva che Blasco avrebbe lasciato la città il giorno successivo. la folla minacciava di mettergli a sacco la casa. Cosa che un gruppo di scalmanati guidati da Federico Imperatore, uno dei nobili più in vista della rivolta, si accingeva a fare, se non l’avesse impedito il provvidenziale intervento di alcuni gentiluomini bene accetti al popolo che si opposero. Prima che fu sera la folla si accalcò di nuovo intorno al palazzo Chiaramonte reclamando questa volta in armi e a suon di bombarde lo sfratto immediato del viceré che pensò bene di non di non perdere tempo. Lasciò il palazzo, seguito dal Lanza, e da pochi altri fidatissimi seguaci, e s’imbarcò alla volta di Milazzo.

Blasco, invece, di proseguire per Messina insieme con il Moncada, s’imbarcò sul brigantino del Barone di Raddusa, che faceva rotta verso Catania, dove contava sulla sua forte influenza per mantenerla fedele al Viceré. Vi raccontò in effetti di essere stato espulso da Palermo al grido di “fora catanisi” che non poteva non suonare offensivo alle orecchie dei suoi concittadini ed ottenne anche la nomina di un ambasciatore al Moncada per rinnovargli l’obbedienza della città.   I Palermitani tuttavia non avevano tardato ad informare i Catanesi che l’espulsione del Lanza. riguardava solo la sua persona e non coinvolgeva minimamente i buoni rapporti fra le due città. Non passò molto che anche a Catania il popolo si levò contro l’odiato governo del Moncada, annullando i precedenti deliberati in suo favore e i poteri dell’ambasciatore a lui destinato. Quindi il Lanza indotto dalla folla in tumulto, si rifugiò nel castello di Aci per raggiungere da Il subito dopo il Moncada a Messina

Una risposta a “Tabia e Blasco Lanza”

  1. Molto belle tutte queste storie che leggo con grande entusiasmo da Trabiese di generazione molto bravi nel raccontare le storie e i tempi in cui sono successi congratulazioni

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